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REVOLUTIONARY ROAD - Richard Yates

Oggi, giovedì 16 novembre 2017, sto scrivendo la recensione dell'ultimo libro da me acquistato a seguìto di un esame universitario, perché il 26 ottobre mi sono laureata in Giornalismo e cultura editoriale, laurea specialistica, conseguita presso l'Università di Parma e difficilmente tornerò presso quella meravigliosa città a sostenere un esame.

Dovete sapere che ho iniziato la specialistica a Parma e contemporaneamente sono stata assunta a tempo indeterminato presso un'azienda che si occupa di formazione e consulenza aziendale a Ancona. Lavoro a tempo pieno e di solito, o almeno questo è ciò che è successo negli ultimi tre anni, uscivo dall'ufficio alle 19, tornavo a casa e studiavo fino a notte fonda. Studiavo il sabato pomeriggio (perché la mattina lavoro) e studiavo tutte le domeniche e tutte le feste.

Il giorno dell'esame prendevo una giornata di ferie, partivo per Parma con il treno delle 5.06, sostenevo l'esame e alle 14.16 riprendevo il treno per tornare ad Ancona, perché il giorno successivo dovevo lavorare. Però, per tutti i 13 esami che ho sostenuto ho sempre rispettato lo stesso rito: pranzo da RED, il ristorante dentro Feltrinelli in Via Farini, e acquisto di un libro da iniziare durante il viaggio di ritorno in treno.

L'ultimo esame sostenuto, Storia contemporanea, è stato così complicato che non vedevo l'ora di trovarmi da Feltrinelli per pranzare e leggere e dimenticarmi di tutti gli incubi che mi aveva causato lo studio di quella materia.

Questa volta la scelta è stata obbligata e dovuta. Il mio amico Pietro, grande lettore e mio consigliere del cuore, un giorno mi ha spontaneamente invitata a leggere questo libro.
Me ne aveva parlato così bene che, a Parma, non ho avuto il minimo dubbio a proposito di quale libro acquistare.
Ho iniziato la lettura in treno e solo la scorsa settimana sono riuscita a terminarlo.

Da questo romanzo è stato tratto l'omonimo film del 2008 che vede come protagonisti la celebre coppia Leonardo DiCaprio e Kate Winslet.

TRAMA "Frank e April Wheeler sono una coppia della middle class dei sobborghi benestanti di New York, e coltivano il proprio anticonformismo con velleità ingenua, quasi ignara della loro stessa ipocrisia. La loro esistenza scorre fra il treno dei pendolari, le cenette alcoliche con i vicini, le recite della filodrammatica locale, ma Frank e April si sentono destinati a una vita creativa e di successo, possibilmente in Europa. Nella storia della giovane famiglia in apparenza felice la tensione è nascosta ma crescente, il lieto fine impossibile, e l'inevitabile esplosione arriva con una potenza da dramma shakespeariano, dopo quattrocento pagine fra le più intense e penetranti della narrativa americana".
"Dio ti maledica" disse Frank sottovoce. "Dio ti maledica April". "Va bene. Adesso, per piacere, potremmo andare a casa?" Con la bocca acida, respirando a stento, la testa penzoloni, le membra tremanti, ripresero posto in macchina, come due persone molto vecchie e stanche. Frank avviò il motore e si rimise in viaggio con precauzione, giù fino alla curva alla base di Revolutionary Hill e poi su per la salita di asfalto nero tutta tornanti di Revolutionary Road. [p.70]
La scena iniziale del romanzo ci trasporta, come si suol dire in gergo letterario, in medias res: siamo a teatro, April fa parte del cast della Compagnia dell'alloro e quella sera la troupe va in scena con uno spettacolo. Inizialmente tutto bene, April è l'attrice più brillante, gli attori procedono sciolti e spediti, ma poco dopo l'intero gruppo inizia ad incespicare e la stessa April appassisce e si confonde nella mischia. Alla fine dello spettacolo il pubblico applaude lievemente, il brusio e i commenti non troppo positivi, sussurrati a mezza bocca dal pubblico, sono pesanti come macigni nella testa di April.
Ma la vita deve andare avanti. Gli attori lasciano la scena e raggiungono i camerini, in molti decidono di vedersi per cena, April vorrebbe diventare invisibile e fuggire lontano da lì. Frank, seduto tra il pubblico, ha assistito allo spettacolo con ansia ed è rimasto deluso dalla performance della bella moglie, nonostante avesse messo in conto questa possibilità. Raggiunta April nel camerino i due hanno un primo screzio, giacché quella sera avrebbero dovuto cenare con i Campbell ma April proprio non se la sente, dopo quella tremenda figura. Chiede a Frank di liquidare in qualche modo i Campbell, che so, dice, usa la scusa della baby-sitter, ma ho appena confermato l'appuntamento!, non importa Frank, voglio andare a casa. E poi la lite furibonda.

In questo momento inizia a farsi percepire ciò che, durante la lettura, sarà uno dei motivi dominanti del romanzo: la frustrazione di chi si è appiattito in una vita che mai avrebbe sperato, lasciando da parte sogni e desideri per portare avanti l'economia familiare
Tutto, in lei, sembrava volutamente inteso a provare, con nuova, pesante enfasi, che essere una massaia piccolo borghese, piena di buon senso, era tutto ciò che avesse mai desiderato, e che tutto ciò che avesse mai desiderato dell'amore era semplicemente un marito che ogni tanto andasse a tagliare l'erba, invece di dormire tutto il giorno. [p. 89]
April, da giovane, sperava di diventare una grande attrice. Aveva studiato recitazione per tutta la vita e poi aveva incontrato Frank, uno degli uomini più interessanti della città. E poi la prima gravidanza. La coppia aveva deciso di onorare i propri doveri, avevano dato alla luce la prima bambina, si erano sposati e avevano comprato una bella casa. Frank si era accontentato del primo lavoro utile e April aveva rinunciato al sogno di fare l'attrice per badare alla casa, alla bambina e al secondo figlio.
"Ti dispiacerebbe leggerci i fumetti?" La timidezza con cui era stata formulata la domanda e la vista dei loro occhi fiduciosi gli fecero venir voglia di piangere. "Certo che non mi dispiace", rispose, "sediamoci tutti e tre qui e leggiamo i fumetti." Gli riuscì difficile impedire alla propria voce di ispessirsi di una patina di sentimentalismo mentre cominciava a leggere ad alta voce, le teste dei due bambini premute sulle costole, una di qua e una di là, e le loro gambette stese sui cuscini de divano, calde contro le sue. Loro sapevano cos'era il perdono: loro erano disposti ad accettarlo com'era, nel bene o nel male; loro lo amavano. Perché April non riusciva a rendersi conto di quanto fosse semplice e necessario amare? Perché doveva sempre complicare tutto? [p.103]
Mettere da parte tutti i sogni di gloria, rispondere ai propri doveri e crescere in fretta erano tutte attività necessarie, ma poco soddisfacenti per una ragazza come April. Eppure la vita l'aveva costretta a mettere tutto da parte per dedicarsi alla famiglia, una famiglia inaspettata e prematura, piombata troppo presto e prepotentemente nella vita di due ragazzi poco più che ventenni, che stavano ancora cercando la loro strada e che non erano neanche così sicuri di essere davvero innamorati.
La scoperta di quella prima gravidanza è la miccia che di lì a poco farà esplodere la bomba della cinica disillusione
E' una malattia. La gente ha smesso di pensare, di provare emozioni, di interessarsi alle cose; nessuno che si appassioni o creda in qualcosa che non sia la sua piccola, dannata, comoda mediocrità. [p. 108]
Sono le parole di April, che nel corso degli anni ha sempre covato questa frustrazione e questo rimpianto. Siamo negli anni Cinquanta, siamo nella middle class newyorkese e potete immaginare che i tabù dell'epoca sono tanti e sfaccettati. Il concetto di aborto, ad esempio, era ancora considerato un vero e proprio scempio dalla società e la libertà di prendere decisioni simili era vista come una follia totale e irrecuperabile. Ovviamente, non è necessario sottolineare che ancora oggi si tratta di un tema piuttosto dibattuto e controverso, ma in quel contesto specifico l'effetto di quella precisa parola era completamente amplificato.
Dunque, April cova il desiderio di abortire, ma non compie nessun gesto efferato, anzi! Porta a termine la gravidanza e rimane incinta una seconda volta per convincersi che quella prima gravidanza non fu una casualità. Ma quel rimpianto la distrugge interiormente e l'unica valvola di sfogo è suo marito Frank, l'uomo verso il quale scatena tutta la sua frustrazione
"E' stato così che noi due abbiamo accettato quest'enorme illusione, perché di questo si tratta: un'enorme, oscena illusione: l'idea che, una volta messa su famiglia, la gente debba rinunciare alla vita reale e "sistemarsi". E' la grande menzogna sentimentalistica piccolo borghese, la menzogna che ti ho obbligato a accettare per tutto questo tempo. Ti ho obbligato a vivere secondo questa menzogna!" [p. 170]
Poi la svolta: la coppia decide di cambiare totalmente stile di vita; trasferirsi a Parigi e ricominciare tutto da capo. In base ai loro progetti, April avrebbe lavorato come dattilografa, mentre Frank avrebbe riscoperto se stesso; avrebbe realizzato cosa voleva effettivamente dalla vita e cosa voleva diventare davvero.
Lei si tirò indietro e tentò di leggergli in volto alla luce fioca come se non riuscisse a persuadersi che Frank non aveva ancora capito. "Ma ti rendi conto? Non ti rendi conto che è proprio questa la grande trovata? Così potrai fare quel che non sei stato in grado di fare sette anni fa. Troverai la strada. Leggerai, studierai, farai lunghe passeggiate e penserai. Avrai tutto il tempo che vuoi. Per la prima volta in vita tua, avrai tempo per scoprire cos'è che vuoi fare, e quando l'avrai scoperto, avrai il tempo e la libertà per iniziarlo." [p. 167]
"Oh Frank, ma ci pensi davvero che artisti e scrittori siano le uniche persone che abbiano il diritto di vivere la loro vita?" [p. 174]
Un punto di vista che Frank sposa senza troppe opere di convincimento.
"Come apparivano piccoli e a modo e ridicolmente seri gli altri uomini, coi loro capelli a spazzola punteggiati di grigio e il colletto della camicia fermato da due bottoncini, e i piedini frettolosi! Ve n'erano frotte interminabili, disperate che si affrettavano per la stazione e lungo le strade, e tra un'ora sarebbero stati tutti immobili ai loro posti. I palazzi di uffici che li attendevano nel cuore di Manhattan li avrebbero inghiottiti e racchiusi, in modo che a starsene in un grattacielo a guardare quello di fronte, oltre il canyon della strada, sarebbe stato come osservare un grigio, silenzioso alveare in cui erano allineati centinaia di ometti dal volto roseo e la camicia bianca, eternamente intenti a spostare scartoffie e a parlare accigliati al telefono, continuando con dedizione il loro stupido spettacolino, sotto la suprema indifferenza delle nubi primaverili che passavano veloci. [p. 180]
"Perché mai tutti pensavano alla possibilità di scrivere libri e dipingere quadri?" chiese Frank, e poi, solo in parte conscio di ripetere le parole di sua moglie, soggiunse: "Dio mio, fosse che gli artisti e gli scrittori sono gli unici individui che abbiano il diritto di vivere la loro vita? Senti. L'unica ragione per cui faccio questo stupido lavoro è, be'...suppongo che di ragioni ce ne siano un sacco, ma il fatto è che se mi metto a stendere un elenco di tutte le ragioni possibili, l'unica cosa che sono sicurissimo di non poter citare è che questo lavoro mi piaccia, perché non mi piace per niente. E io ho proprio la stramba idea che la gente sta meglio quando fa un lavoro che le piace. [p. 239] 
 Un piccolo passo indietro. Nei giorni seguenti alla tremenda lite, e dunque a seguito della rappresentazione teatrale, Frank, come ogni giorno, lasciò la sua abitazione, salì in macchina, arrivò in stazione, salì sul treno, entrò in ufficio, lavorò e in pausa pranzo decise di tradire April. Il frutto del suo desiderio, quella mattina, fu Maureen Grube, la collega dattilografa. Frank non tradì April per amore, giacché poco gli importava della giovane Maureen. Frank tradì April per far valere la propria virilità, perché tutta quella storia dell'aborto mancato ma desiderato aveva lasciato un'amarezza così grande e aveva innescato un detonatore che la lite post-spettacolo non era riuscita a disinnescare. E quella sera, tornato a casa dopo il lavoro e macchiato di quel tradimento, Frank fu accolto in casa da April, vestita in modo elegante, e dai bambini che lo aspettavano in casa, al buio, intorno al tavolo, dietro ad una torta di compleanno preparata tutti insieme in quel pomeriggio, per festeggiare i trent'anni di Frank. Ovviamente, lui non disse niente e neanche si scompose alla vista di quella scena, anzi, quella sera April e Frank fecero l'amore dopo tanto tempo e proprio quella sera iniziarono a pensare che Parigi sarebbe stata la soluzione a tutti i loro problemi.
E una sera, tanto tempo dopo...
"Be'", ribatté lui, "non si tratta tanto di quello che mi pare e piace, Quello che voglio dire è che la vita deve continuare, psicanalisi o meno. Diavolo, mi rendo conto che stai attraversando un brutto periodo; è stata un'estate un po' dura. Ma il fatto è che siamo stati tutti e due sotto pressione, e dovremmo darci una mano a vicenda, nei limiti del possibile. Insomma, Dio sa se il mio comportamento è stato strano in questi ultimi tempi; ti dirò, mi è venuto il dubbio che potrebbe essere una buona idea si mi facessi vedere da uno strizzacervelli. A dire il vero..." si voltò e si mise a guardare fuori dalla finestra, serrando la mascella "a dire il vero, uno dei motivi per cui ho sperato che potessimo riavvicinarci è che c'è qualcosa di cui vorrei parlarti: qualcosa di...come dire, qualcosa di nevrotico e irrazionale che mi è accaduto qualche settimana fa." E quasi o addirittura prima di rendersi conto di quello che la sua voce andava dicendo, ecco che le raccontava di Maureen Grube. Lo fece con automatica abilità, identificandola solo come "una ragazza di New York che conosce appena", anzi che come una dattilografa dell'ufficio, badando a sottolineare che da parte sua non c'era stato nessun coinvolgimento sentimentale, lasciando invece intendere che lei aveva provato per lui un'attrazione profonda e incontrollabile. La voce di Frank, dolce e sicura, interrotta di tanto in tanto da una rauca esitazione o indugio che serviva unicamente a migliorarne il ritmo, unica in sè la forza della confessione e la grazia di un narratore romantico. "E secondo me, l'intera faccenda è dipesa semplicemente dal fatto che io sentivo che la mia...bè, la mia mascolinità era stata in un certo senso minacciata da quella storia dell'aborto: volevo dimostrare che qualcosa, non so. Comunque, ho troncato tutto la settimana scorsa, tutta quella stupida relazione. Ormai è passata, sul serio. Se non ne fossi sicuro, credo che non avrei mai osato parlartene." Per un buon mezzo minuto, l'unico suono nella stanza fu la musica trasmessa dalla radio. "Perché l'hai fatto?" chiese April. Frank scosse il capo, continuando a guardare fuori dalla finestra. "Piccola, non lo so proprio. Ho tentato di spiegartelo; sto ancora tentando di spiegarlo a me stesso. E' per questo che l'ho chiamato qualcosa di nevrotico, di irrazionale, io..." "No" fece lei "non intendevo perché sei andato a letto con quella ragazza, ti chiedevo perché me ne hai parlato. A che scopo? Per farmi ingelosire, o che altro? Perché mi innamori di te, o torni a letto con te, o qualcosa del genere? Che cosa dovrei dire, insomma?". Frank la guardò, conscio del fatto che il viso gli si copriva di rossore e si contraeva in una smorfia di imbarazzo che sforzò, invano, di trasformare nel sorriso da psichiatra. "Perché non dici quello che pensi?" April pareva pensarci per qualche istante, poi si strinse nelle spalle. "Ma l'ho fatto: non penso proprio un bel niente." "In altre parole, non t'importa di sapere quel che faccio o con chi vado a letto o altro. Giusto?" "Giusto. Credo che sia proprio così, non mi importa." "Ma io voglio che ti importi!" "Lo so che vuoi. E penso che mi importerebbe se ti amassi; ma vedi, io non ti amo. Non ti amo e non ti ho mai davvero amato, e non me ne sono mai resa conto sul serio fino alla scorsa settimana, ed è per questo che preferirei non parlare di niente in questo momento. Lo capisci?" Prese uno strofinaccio per spolverare e passò nel soggiorno: una stanca massaia competente che doveva sbrigare le faccende di casa. "Attenzione" disse una voce imperiosa alla radio "in occasione della grande liquidazione annuale, ai grandi magazzini Robert Hall potrete acquistare l'intera scorta di pantaloncini e jeans da uomo a prezzi stracciati!". Rigido, fissando il bicchiere di tè freddo intatto sul tavolo, Frank si sentì montare in testa una così densa ondata di confusione, che riuscì a formulare un unico pensiero coerente: si ricordò di colpo che giorno era, e capì perché i bambini erano dai Campbell e si rese conto che non c'era più molto tempo per parlare. "Ehi senti un po'" disse, girando su se stesso e seguendo April in soggiorno a lunghi passi decisi, "Metti giù un momento quel maledetto straccio e ascoltami. Ascoltami, ho detto. Innanzitutto, lo sai benissimo che mi ami." [pp. 368-371]
Da quel momento in poi il declino rovinoso della famiglia Wheeler. Nuovi tradimenti, liti furibonde, urla, disagio e poi la guerra fredda tra marito e moglie, che divampa incredibilmente di fronte a quella notizia che sarà la causa della distruzione assoluta delle loro vite: una nuova gravidanza.
Tutti i piani vanno in malora, Parigi torna ad essere un sogno lontanissimo e irraggiungibile e lo spettro di un nuovo rimpianto si amplifica in modo così forte che April non riesce a resistere: alle spalle di Frank decide che quella volta non può rinunciare. Deve abortire. Vuole abortire a tutti i costi, per poter partire e per smettere di fingere che quella sia davvero la vita che ha sempre desiderato; per eliminare per sempre il pensiero che la vita sia solo questo, che sia solo badare alla casa, accudire una famiglia.
Gli ci volle un bel po' per ritrovare la strada, e in seguito non avrebbe mai più dimenticato quello che stava facendo -procedendo con aria disinvolta lungo una serie di corridoi, due bicchieri di caffè in mano, uno stupido sorriso indagatore sul volto- quello che stava facendo quando April morì. [p. 418]
Il capitolo in cui viene descritto l'aborto casalingo è uno dei più strazianti, e in questo caso devo ammettere che il film ha reso bene quanto descritto da Yates.
Il complesso residenziale di Revolutionary Hill non era stato progettato in funzione di una tragedia. Anche di notte, come di proposito, le sue costruzioni non presentavano ombre confuse nè sagome spettrali. Era invincibilmente allegro: un paese dei balocchi composto di casette bianche e color pastello, le cui ampie finestre prive di tende occhieggiavano mute in un intrico di foglie verdi e gialle. Fasci di luce sfacciata spazzavano i prati, le eleganti porte d'ingresso e le curve delle automobili color panna ombreggiate dinanzi. Un uomo intento a percorrere di corsa queste strade, oppresso da un disperato dolore, era fuori posto in modo addirittura indecente. Tranne per il pasticciare delle sue scarpe sull'asfalto e il suo respiro, era tutto così silenzioso che Frank riusciva a sentire i suoni della televisione nelle stanze sonnacchiose al di là delle foglie - l'urlo rauco di un comico, seguito dalle vaghe, spastiche ondate di risa e applausi, e poi, prorompente l'attacco di un'orchestra. Anche quando si lasciò alle spalle la strada asfaltata, tagliò per il prato di chissà chi e si tuffò nei boschi che rivestivano la ripida discesa, deciso a raggiungere Revolutionary Road per quella scorciatoia impossibile, anche allora non ebbe scampo: le luci delle case splendevano e saltellavano allegramente con lui tra i ramoscelli che gli sferzavano il volto, e una volta che gli mancò l'appoggio e scivolò lungo una china sassosa, rialzandosi si trovò in mano un secchiello di latta smaltata, di quelli con cui giocano i bambini sulla spiaggia. Mentre tornava arrancando sull'asfalto ai piedi della collina, Frank lasciò che la sua mente stordita, confusa, cedesse a una crudele illusione: era stato solo un incubo; alla prossima curva avrebbe scorto le luci accese di casa sua, si sarebbe precipitato dentro di corsa e l'avrebbe trovata china sull'asse da stiro o raggomitolata sul divano con una rivista ("che c'è Frank? Hai i calzoni tutti sporchi di fango! Ma certo che sto bene...). Ma poi vide la casa - la vide davvero - lunga e lattiginosa al chiaro di luna, le finestre buie: l'unica casa senza luci in tutta la strada [p423-424]
Revolutionary Road è un piccolo capolavoro. Un romanzo drammatico che racconta tante vite e tanti piccoli disagi quotidiani. Devo ammettere che non è stata una lettura semplice, insomma, non si tratta di un romanzetto da leggere prima di coricarsi, è piuttosto un romanzo denso di temi molto importanti: l'amore, la famiglia, la gravidanza, l'aborto, la pazzia, i sogni infranti e molto di più.
Subito dopo aver concluso la lettura, andata un po' a rilento (lo ammetto) sia per motivi lavorativi sia per la stanchezza accumulata dati gli eventi che descrivevo nell'incipit, la prima cosa che ho fatto è stata informarmi sulla biografia dell'autore. Perché questo romanzo, pur parlando di temi scomodi è intriso di un'incredibile passione. C'è un trasporto e si percepisce quanto tutto sia sentito da chi scrive. Effettivamente i fatti parlano chiaro, in Revolutionary Road c'è molto del vissuto di Richard Yates.
Per gli aspiranti scrittori, questo libro (oltre ad essere un grande esempio di buona scrittura) insegna anche una cosa importante: raccontare ciò che ci sta a cuore fa la differenza tra un libro commerciale e un libro che ha un valore. Questo romanzo ha un grande valore, letto da adolescenti, letto in età adulta e letto in età avanzata, in ogni caso può insegnarci molto a proposito della vita e può aprirci gli occhi soprattutto su noi stessi, su chi siamo e su chi vogliamo diventare.
Minimum Fax ha ri-editato il libro in questa nuova versione molto curata e molto confortevole, la carta è di ottima qualità, il testo è scritto in un corpo leggibile e la grafica è migliorata notevolmente rispetto alle vecchie edizioni. Un ottimo lavoro, per rendere giustizia ad un ottimo romanzo.

Informazioni aggiuntive:
Autore: Richard Yates
Codice ISBN: 9788875218324
Prezzo di copertina: 15.00€
Pagine: 439
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